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L´art. 342 del Codice della crisi di impresa e dell´insolvenza non ha determinato un effetto abrogativo del reato di falsità in relazioni o attestazioni commesso dal professionista di cui all´art. 236-bis della Legge fallimentare
Stefania Barone
Con sentenza emessa all'esito di giudizio abbreviato, il GUP ha ritenuto l’imputato - nella qualità di professionista attestatore - responsabile del reato di cui all'art. 236-bis l. fall., commesso in concorso con l’amministratore unico e, poi, liquidatore della società coinvolta.
Secondo il giudice di prime cure, l'imputato avrebbe esposto informazioni false o comunque avrebbe omesso di riferire informazioni rilevanti nella relazione di cui all'art. 161, co. 3, l. fall., allegata al ricorso per l'ammissione al concordato preventivo della società.
Nel dettaglio, avrebbe indicato un rilevante apporto di nuova finanza, asseritamente proveniente dalla madre dell’imputato, senza alcuna previa verifica dell'attendibilità e fattibilità dell'apporto (apporto finanziario, infatti, mai avvenuto).
I Giudici dell’Appello hanno parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando l'estinzione del reato per prescrizione e confermando le statuizioni civili.
L'imputato proponeva ricorso per Cassazione e, con l’unico motivo, lamentava i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 342 del D.Lgs. n. 14 del 2015 (Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza) e 2 c.p..
In particolare, il ricorrente sosteneva che il reato di falsità in relazioni o attestazioni commesso dal professionista, originariamente descritto dall'art. 236-bis l. fall., fosse stato oggetto di modifica, essendo stato espunto dall'area di rilevanza penale il profilo inerente alla fattibilità del piano di concordato, dovendo l'attestatore limitarsi a verificare se i dati riportati nel piano e dei documenti ad esso allegati fossero esposti in modo veritiero.
Nello specifico, secondo il ricorrente, avendo aggiunto la nuova disposizione, dopo l'aggettivo "rilevanti", le parole «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati», avrebbe determinato un effetto parzialmente abrogativo.
Alla luce di tale premessa, il ricorrente affermava che la nuova disposizione si poneva in rapporto di specialità rispetto alla precedente, pertanto, il fatto contestato non integrerebbe una fattispecie penalmente rilevante, difettando l'elemento specializzante richiesto dalla nuova fattispecie.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato.
Per dirimere la questione i Giudici della Suprema Corte hanno esaminato i rapporti tra l'art. 236-bis l. fall, e l'art. 342 del D.Lgs. n. 14 del 2015, onde verificare se la nuova norma abbia o meno parzialmente abrogato la fattispecie prevista dalla legge fallimentare.
La fattispecie di cui all'art. 236-bis l. fall, che presidia per la prima volta in sede penale la condotta illecita dell’attestatore, così recita: "il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies, 182-septies e 186-bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti".
L’art. 342 del D.Lgs. n. 14 del 2015 invece punisce "il professionista che nelle relazioni o attestazioni ... espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati".
La nuova norma, dopo l'aggettivo "rilevanti", aggiunge le parole "in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati".
La verifica dell'eventuale effetto parzialmente abrogativo determinato dalla novella passa, quindi, per la corretta interpretazione dell'art. 236-bis l. fall, e, in particolare, del termine “informazioni” in esso contenuto.
In assenza di pronunce di legittimità sullo specifico tema, la giurisprudenza di merito e la dottrina maggioritaria, hanno tentato di individuare i confini interpretativi del termine, ponendo l’attenzione sul contenuto delle attestazioni e delle relazioni richiamate.
Secondo tale orientamento, poiché tali documenti riguardano sia la veridicità dei dati sia la fattibilità o idoneità giuridica o economica del piano o di altre proposte di regolazione, l'informazione falsa o omessa deve essere riferita a entrambi questi profili: veridicità e fattibilità.
Osserva in merito la Cassazione che il professionista attestatore, nell’ambito delle soluzioni negoziali della crisi, è chiamato a svolgere una funzione essenziale: da un lato, a verificare la correttezza e attendibilità dei dati aziendali forniti dal debitore e dall’altro, valutare la fattibilità economica del piano presentato dal debitore.
Con riferimento alla valutazione della fattibilità economica del piano, quindi, esclude che la falsità possa riguardare il giudizio prognostico in sé, in quanto tale giudizio, avendo natura valutativa e proiettandosi sul futuro, non può essere oggetto di un apprezzamento in termini di verità o falsità.
L’attenzione, dunque, deve necessariamente spostarsi alla base informativa che ne costituisce il presupposto e ai criteri e metodi adottati per elaborare la previsione.
Solo rispetto a questi dati è possibile individuare una base solida per una valutazione in termini di vero o falso, sulla base di canoni epistemologici consolidati, che ammettono tale distinzione anche in relazione a enunciati valutativi laddove fondati su presupposti oggettivamente accertabili (come, d’altra parte, già espressamente ammesso - seppure con riferimento al reato di false comunicazioni sociali - dalle S.U., sent. n. 22474 del 31/03/2016).
Interpretata in questi termini restrittivi, la norma previgente risulta già delimitata a ipotesi di falsità oggettivamente verificabili, con esclusione dei profili meramente soggettivi o prognostici.
Ne consegue che il "nuovo" art. 342 del d.lgs. n. 14 del 2015 non ha determinato un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie prevista dall’art. 236-bis l. fall..
Per il vero, secondo una parte della dottrina – richiamata anche dal ricorrente – il legislatore delegato con l’inciso "in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati", inserito nel testo dell’art. 342 in esame, avrebbe ridotto l'area della rilevanza penale alla sola veridicità dei dati aziendali, con implicita esclusione delle attività dell’attestatore relative alla valutazione di "fattibilità economica" del piano presentato dal debitore.
A sostegno di questa tesi, si individua quale elemento decisivo il termine “dati”, ritenuto intrinsecamente incompatibile con il concetto di valutazione.
Tale ricostruzione, però, evidenzia la Cassazione, si fonda, da un lato, su una nozione eccessivamente restrittiva del termine dati, e, dall'altro, non tiene conto della corretta interpretazione dell'art. 236-bis l. fall. e, in particolare, del ristretto spazio applicativo che, nell'ambito di tale norma, avevano le falsità e le omissioni riguardati le attività che il professionista svolgeva in relazione alla fattibilità economica del piano.
Sotto il primo profilo, osserva che il termine “dati” non ha quel significato univoco che il ricorrente e la dottrina vorrebbero attribuirgli: anche i dati aziendali, infatti, sono spesso il risultato di attività intellettuali e valutative, implicanti l’attribuzione di valore a negozi giuridici, rapporti contrattuali, beni immateriali e situazioni giuridiche, ovvero grandezze economiche nelle quali la componente valutativa è inevitabilmente presente, anche laddove si tratti formalmente di “dati”.
Con riferimento al secondo profilo, i giudici di legittimità ricordano che l'art. 236-bis l. fall., già limitava la rilevanza penale delle attività svolte dal professionista con riferimento alla fattibilità economica del piano, riconoscendola non al giudizio prognostico in sé, ma unicamente alla correttezza e completezza della base informativa e alla conformità dei metodi e dei criteri valutativi adottati.
Proprio in ragione di tale impostazione, la riformulazione introdotta dall’art. 342 del Codice della crisi non ha prodotto alcun effetto abrogativo, ma si è limitata a chiarire – attraverso l’esplicito riferimento alla “veridicità dei dati” – l’esclusione della valutazione prognostica dell’attestatore dal perimetro di penale rilevanza (che, peraltro, osserva la Suprema Corte, non era sussumibile nella fattispecie criminosa nemmeno sotto la vigenza dell’art. 236-bis, ove correttamente inteso).
Per completezza, rilevano in ultimo gli Ermellini che, anche aderendo all’interpretazione propugnata dal ricorrente, la condotta contestata all’imputato resterebbe comunque penalmente rilevante in quanto l'omessa informazione atteneva proprio a un dato aziendale (relativo a un consistente apporto di finanza, pari a 200.000,00 euro).
La nuova disposizione, dunque, non ha comportato alcuna abrogazione parziale della norma previgente e, in particolare, non ha reso penalmente irrilevanti le attività del professionista relative alla correttezza e completezza della base informativa e alla congruità dei metodi e dei criteri utilizzati per giungere alla valutazione circa la fattibilità economica del piano.
In altri termini, con la decisione in commento, la Corte di Cassazione ha confermato la continuità normativa tra l’art. 236-bis l. fall. e il nuovo art. 342 del d.lgs. 14/2019.
Tale lettura risulta coerente sia con la Relazione illustrativa al Codice della crisi, sia con i principi della legge delega, che imponevano di preservare le fattispecie incriminatrici vigenti.
La questione centrale resta, dunque, l’accertamento della correttezza del metodo e della base informativa: unico terreno su cui può radicarsi oggi, come ieri, la responsabilità penale dell’attestatore.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Pen., Sez. V, 28 marzo 2024, n. 13016)
Stralcio a cura di Lorenzo Litterio